
Dott.ssa Consuelo Centi
Psicologa, Counselor
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Benedetto correva. Correva verso il bosco.
Era deciso, quel giorno, a scoprire se gli gnomi e le fate che c'erano nelle storie che gli leggeva la mamma prima di dormire, esistessero davvero.
Era stufo di essere trattato da bimbo piccolo a cui si può far credere tutto. Era grande ormai e dovevano metterselo in testa tutti.
Il papà lo portava spesso nel bosco. A fare funghi, asparagi, more, a seconda della stagione. Ma anche a cercare tane, nidi e impronte di animali, e quella era la cosa che gli piaceva più di tutte.
Era bello andare in cerca di tracce dei lupi. Il papà non era mai proprio sicuro sicuro che quelle che trovavano fossero impronte di lupi. Si potevano sempre confondere con quelle dei cani dei cacciatori, ma Benedetto ne era certo.
Quel giorno però Benedetto era solo e non faceva caso alle tracce. "Se ci sono degli gnomi – disse tra di sé - dovranno farsi vedere. Sono un bambino diamine! Non possono nascondersi ad un bambino!"
Una volta Benedetto aveva chiesto a dei cacciatori che tornavano dal bosco, se avevano visto qualche gnometto o fatina tra gli alberi e loro si erano messi a ridere dicendo che certe cose non esistevano.
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La mamma aveva spiegato a Benedetto che per vedere certe creature occorreva essere aperti alla magia, come solo i bambini sanno fare. Tanti adulti ormai credono solo alle cose che ci sono nella loro mente ed è per questo che sono sempre così tristi.
Hanno abbandonato il mondo della magia ed ora sono invischiati nelle brutture che mostrano in televisione senza riuscire a venirne fuori.
Benedetto non capiva bene cosa volesse dire la mamma con questo, ma si ricordava perfettamente le facce spaventose di quei cacciatori e di certo non voleva diventare come loro.
Il suono della loro risata cattiva gli era rimasta dentro la testa e tornava fuori a farsi sentire ogni volta che incontrava qualcuno con la mimetica addosso.
Tutte queste cose ricordava Benedetto mentre veloce scendeva tra la macchia. Era così preso dall'eccitazione di scoprire la verità, che non aveva perso tempo a percorrere il sentiero che ormai conosceva bene, ma si era invece precipitato giù per il pendio per accorciare la strada ed arrivare prima al lecceto.
Eccolo. Era arrivato.
Benedetto vedeva i primi grandi alberi maestosi e forti. Se c'erano degli gnomi nel bosco, lì sicuramente li avrebbe trovati.
Quando fu in mezzo agli alberi provò a chiamare gli gnomi e le fate, pregando che si facessero vedere.
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Li chiamò prima a bassa voce, perché temeva di spaventarli. Poi, vedendo che non uscivano dai loro nascondigli, provò ad alzarla, fino ad emettere un grido che sapeva più di pianto disperato che di richiamo.
Non successe nulla.
Almeno, lui non vedeva e non sentiva niente di diverso dal solito.
Le lacrime gli scendevano lungo il volto, ma era troppo preso dal desiderio di trovare la verità per potersene accorgere.
La luce nel bosco era diminuita e Benedetto doveva tornare a casa prima che diventasse buio, prima che la mamma si accorgesse che lui non era più in cortile a giocare.
Di sicuro non gli avrebbe permesso di andare nel bosco da solo e si sarebbe arrabbiata molto, se avesse scoperto che era proprio quello che lui aveva fatto.
Benedetto iniziò a risalire la collina, sconsolato.
"Ma perché gli adulti inventano quelle stupide storie da raccontare ai bambini? Perché ci raccontano tutte quelle bugie?".
Benedetto era amareggiato ma non aveva ancora abbandonato la speranza di incontrare uno gnomo o perlomeno di sentirne la voce. E dentro di sé continuava a implorare la natura tutta di fargli conoscere almeno per un attimo quel mondo incantato.
Dove prendevano gli alberi tutta quella forza per crescere così alti e robusti? E in primavera i fiori come facevano a sapere esattamente quando nascere, gli uccelli quando tornare a cantare e i ghiri quando uscire dal letargo senza delle "creature" che coordinassero i lavori?
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Il papà di Benedetto costruiva le case. A volte lo aveva portato con sé nei cantieri e lui aveva visto bene quanto fosse difficile dirigere i lavori e fare in modo che ognuno facesse bene il proprio compito.
Nel bosco era sempre tutto perfetto, la natura non sbagliava mai, doveva pur esserci qualche essere che facesse il lavoro di suo padre ed anche meglio.
Benedetto continuava a risalire la collina, quando si accorse che stava calando il buio anche fuori del lecceto.
"Non mi sembrava di aver camminato così tanto all'andata." Si guardò intorno e si accorse che non c'era niente di familiare, nessun riferimento conosciuto e capì che si trovava in una parte della macchia che non conosceva.
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La paura iniziò ad impossessarsi di lui.
Iniziò a correre per cercare di arrivare in cima alla collina. O almeno, l'intenzione era quella, ma i suoi piedi scivolavano su quel pendio diventato troppo ripido.
Benedetto si era perso e nessuno sapeva che era andato nel bosco.
La paura diventò terrore vero e proprio. Sarebbe rimasto lì solo tutta la notte e chissà mai per quanto. Presto sarebbe diventato tutto buio, sarebbero usciti gli animali notturni, i cinghiali, forse i lupi.
Benedetto continuava a camminare in una qualche direzione ma non sentiva più il suo corpo, non era più lui a comandare i suoi piedi, a decidere dove andare.
La sofferenza diventò insopportabile e a un tratto, stremato, Benedetto si arrese, abbandonandosi totalmente.
Fu allora che il panico che si era impossessato di lui se ne andò.
Benedetto si ritrovò disteso a terra e lì, sdraiato sulle foglie, si accorse che la natura appariva diversa.
I colori erano più brillanti di come li aveva sempre visti e l'odore del muschio forte e piacevole. Tutto intorno era più vivo e più intenso e questo scatenò in lui una gioia inattesa.
Nell'abbraccio della terra sentì che la natura era sua amica, che non c'era niente che poteva fargli del male e che essa lo avrebbe aiutato a ritrovare la strada.
Respirò profondamente con il desiderio di assorbire tutti i profumi del bosco e si rialzò.
Riprese il cammino.
Tra gli alberi sentiva come dei brusii, dei sospiri. Sicuramente erano gli esseri invisibili del bosco che lo stavano guidando per indicargli la strada.
Dopo pochi passi si trovò sul sentiero che percorreva sempre con suo padre. Scoppiò a ridere ed iniziò a correre.
In pochi minuti si trovò fuori dalla macchia, davanti a casa sua, giusto in tempo per sentire la voce della mamma che lo chiamava per rientrare in casa per la cena.
Doveva andare, ma gli dispiaceva. Avrebbe forse preferito passare la notte tra le braccia degli alberi e le voci del bosco. A voce alta ringraziò i suoi nuovi amici e promise loro che sarebbe tornato a trovarli.
Rientrato in casa, andò in bagno a lavarsi le mani e gli piacque vedere la sua immagine allo specchio. Non l'aveva mai vista così bene.
In tavola c'era già versata nei piatti la minestra che aveva preparato la mamma. "Buona questa minestra!" esclamò.
La mamma lo guardò con gli occhi sbarrati "Come?! Ma se è la solita minestra di lenticchie che non vuoi mai mangiare perché dici che non ti piace! Ti senti bene?".
Benedetto sorrise e pensò che anche la minestra più cattiva poteva diventare buonissima perché, ormai ne era certo, la magia esisteva davvero.