
Dott.ssa Consuelo Centi
Psicologa, Counselor
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Carletto aveva sempre sognato una casa al mare.
Lui abitava in un posto senza onde e senza monti, dove potevi viaggiare per ore, in una strada diritta senza fine, senza tornanti e discese, e dove tutto sembrava sempre uguale e destinato alla noia.
Era come vivere in un quadro, dove perfino le foglie ferme sugli alberi sembravano rassegnate a un destino di immobilità.
Solo l’intensità del grigio della coltre che rivestiva le immagini sembrava mutare; a volte il grigio era velato, a volte intenso, altre volte così denso da appiccicarsi addosso.
Invece il mare era diverso. Il mare non si fermava mai.
Carletto lo aveva visto una volta quello che fa le onde con la schiuma, e si era divertito pure lui, come gli altri, a prendere gli schizzi e a saltare per non farsi travolgere dall’acqua.
E poi aveva visto i pesci venire a nuotare intorno ai piedi e le meduse, quelle che devi stare attento perché se ti toccano ti brucia la pelle e che era riuscito a prendere con il retino, per portarle sulla spiaggia e vederle sciogliere al sole.
Solo quel mare, diceva sua madre, era un vero mare, perché era vivo, e lo si vedeva dal colore che cambiava a seconda di come esso stava: era celeste quando era tranquillo, verde quando era arrabbiato, trasparente quando era caldo e accogliente, blu quando voleva fare paura.
L’altro mare, quello dove i suoi genitori lo portavano a volte il fine settimana, dopo ore di macchina nella solita strada dritta senza fine, era morto, e lo si capiva perché era sempre marrone.
Carletto avrebbe voluto uscire dal quadro in cui viveva e volare via lontano, dove c’è il mare anche d’inverno. E avrebbe voluto cavalcarlo con la tavola come aveva visto fare ai grandi, e cascarci dentro, che lui tanto non aveva paura del freddo.
Un giorno che non era andato a scuola, che era rimasta chiusa perché aveva piovuto tanto, ed era bene rimanere a casa, Carletto si svegliò nella sua cameretta ed ebbe la sensazione di qualcosa di strano. Era come se l’aria fuori, stanca di tanta immobilità, finalmente si fosse mossa.
D’istinto Carletto si alzò e si precipitò alla finestra.
Stentò a credere a quello che stava vedendo.
Al posto della strada dritta senza fine e della campagna immobile c’era una corrente impetuosa che trascinava tutto con sé. Il mare era arrivato fin là e adesso stava scorrendo sotto casa sua!
Senza timore e senza indugio l’acqua entrava dirompente nei cortili e nelle case della gente, senza nemmeno chiedere il permesso, fregandosene della buona educazione a cui tanto davano importanza i grandi.
Carletto per un attimo ebbe la sensazione di essere caduto dal quadro e di essere precipitato dentro un film. Un film avventuroso per giunta, di quelli dove non ci si annoia mai e il protagonista vince su tutto e diventa un eroe.
Questa volta l’eroe era lui e nel contemplare le acque che scorrevano, si sentì parte della forza misteriosa che sembrava comandarle.
Carletto udì la madre schiamazzare al pian terreno e pensò che anche lei fosse eccitata per il mare sotto casa. Era un’esperienza unica, che lui avrebbe raccontato infinite volte con entusiasmo a tutti i suoi amici.
Forse successe tutto in un attimo ma Carletto rimase lì, a guardare fuori, per un tempo che a lui parve infinito.
Il rumore della pioggia che continuava a cadere si mescolava con quello del mare, o perlomeno di quello che a lui pareva essere il mare.
Mentre era alla finestra si accorse presto di un altro suono diverso, meccanico.
Era quello di un elicottero che stava volando a bassa quota proprio in direzione di casa sua. Carletto sapeva con certezza che, essendo lui l’eroe del film, quell’elicottero era lì per lui e lo stava andando a prendere!
Una scossa di eccitazione gli attraversò il corpo.
La madre agitata entrò in camera, dicendo qualcosa sulle acque e sull’elicottero che li avrebbe portati in salvo. Dovevano andare sul tetto e lì i soccorritori li avrebbero aiutati a salire a bordo.
Carletto non fece caso all’espressione “portati in salvo”, tanto era estasiato dall’esperienza che stava vivendo. A breve sarebbe volato in alto, sopra la distesa di campi diventati mare.
Quando prese il volo, dall’elicottero giallo vide sul tetto il suo gatto tranquillo che osservava il passaggio delle acque sotto casa.
Con lo sguardo il gatto seguiva interessato i tronchi che galleggiavo e sembrava che fosse tentato di acchiapparli, come faceva a volte con le immagini che si muovevano sullo schermo televisivo.
Carletto dopo qualche giorno lo avrebbe ritrovato, indifferente al fango che ancora copriva il pavimento del soggiorno, a miagolare per chiedere i croccantini. Cosa che il gatto faceva ogni volta che qualcuno rincasava, solo che questa volta il miagolio era più incalzante e disperato, non lasciando scampo a chi si doveva occupare di sfamarlo.
Al rientro in casa, Carletto vide che essa era irriconoscibile, tutta invasa di fango com’era.
I mobili erano rovinati e ci sarebbe stato tanto lavoro da fare prima di renderla di nuovo abitabile.
Si accorse con dispiacere che il fango aveva sepolto e rovinato per sempre i suoi libri preferiti e l’acqua, al passaggio, si era portata via i tanto amati soldatini che gli aveva regalato lo zio.
Ci avevano giocato tanto insieme, in battaglie che, non sapeva capire come mai, Carletto riusciva a vincere ogni volta.
Quei soldatini lui non li avrebbe più rivisti.
Erano spariti per sempre. E forse erano finite per sempre anche quelle battaglie avvincenti.
Ma, pensò Carletto, l’avventura del mare sotto casa un costo doveva pur averlo. Del resto come in ogni film che aveva visto, l’eroe alla fine ha sempre delle perdite e delle ferite.
E riflettendoci bene arrivò a concludere che, in fondo, l’eroe si riconosce dalle fiere cicatrici, che ogni grande avventura porta sempre con sé.